Ma quale Giustizia Riparativa?

Da una parte c’è l’utopia, dall’altra la distopia. Da una parte c’è la Giustizia Riparativa (Restorative Justice), dall’altra le atrocità planetarie, il genocidio, le guerre.

In questi ultimi giorni, riflettendo sulla Giustizia Riparativa (GR), frazione della riforma Cartabia di cui agli artt. 42-67 del d. lgs. 150/2022, mi sono ritrovata nell’ennesima impasse, impossibilitata a mettere in relazione ottime intenzioni (che talora si traducono in leggi, come in questo caso) e realtà reale.

La GR è materia relativamente nuova, ancora molto sulla carta e poco applicata in Italia. In soldoni, la GR presuppone che la vittima di un reato, l’autore del reato ed eventuali altri soggetti appartenenti alla comunità, possano incontrarsi alla presenza di almeno due mediatori imparziali per “riconoscersi” e darsi parola: un programma possibile soltanto a patto che la partecipazione di tutti gli attori in campo sia volontaria, consensuale e attiva. Stiamo parlando di qualcosa che viene da lontano, che alcune tribù praticavano fin dall’antichità e che in Nord America, e successivamente in Europa, è stato riscoperto, studiato, sperimentato e, a tappe, normato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

La GR non riguarda il perdono né le conseguenze giuridiche di un reato: il perdono può esserci o non esserci, la pena sarà scontata comunque, salvo casi particolari. Ciò che la GR pone in rilievo è la centralità della persona, vittima e reo, all’interno di una comunità, così che l’offender sappia il dolore della sua vittima, conosca le conseguenze del suo agire sulla vita di tutte le persone coinvolte (familiari ecc.), avendo egli stesso, però, l’opportunità di essere ascoltato: dire, dirsi (la “parola” può anche essere scritta, ogni “incontro” ha una sua specificità).

Ed è qui che vado a bloccarmi: le buone leggi che danno alla vittima la possibilità di essere realmente vista nel suo dolore fuori da un’aula di tribunale, che possono ridurre il pericolo di recidiva del reo, in quale realtà italiana possono effettivamente essere applicate? Non mi sto riferendo alla questione soldi, che pure in Italia non è un problema da poco. Mi riferisco all’idea di comunità che l’impianto legislativo sottende, comprese le parti che riguardano specificatamente i minori.

Cosa vuol dire, oggi, parlare di comunità?

Come è composto il tessuto sociale italiano?

Senza andare a cercare e riportare qui interpretazioni filosofiche e sociologiche inerenti all’individualismo “negativo” e le sue radici, e tutti i discorsi correlati, basterebbe prendere in considerazione alcune locuzioni come “società multietnica” e “minori non accompagnati”, per trovarsi a dover fare i conti con una pluralità di comunità che spesso non godono di una cittadinanza comune se non, addirittura, trovarsi di fronte a dei vuoti.

Vogliamo, poi, parlare di comunità internazionali?

In questo caso, la dissoluzione è sotto gli occhi di tutti. Opportunismo, corruzione, interessi economici: gli stati nazionali disconoscono le organizzazioni sovranazionali (comunità di stati). Ne aggirano, negano, ridicolizzano le risoluzioni, le raccomandazioni, le direttive: ognuno per sé, i propri interessi, la propria follia. Come sta avvenendo a Gaza. Come avviene in Iran. Come avviene in Ucraina. Come avviene in diverse altre parti del globo – tanti i conflitti sottaciuti.

In questo contesto, gli artt. sulla GR della riforma Cartabia, che recepiscono i provvedimenti che li hanno preceduti, non ultima la Dichiarazione di Venezia del 13/14 dicembre 2021 (“Criminalità e Giustizia penale – il ruolo della giustizia riparativa in Europa”  – Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa), che cosa sono?

Sono norme zoppe, perché la loro operatività a distanza di tre anni resta, nel nostro Paese, ancora in una fase embrionale.

Sono norme ipocrite, perché di quale giustizia riparativa stiamo parlando se anche a livello internazionale permettiamo crimini contro l’umanità senza spendere nemmeno una parola di condanna chiara, ufficiale, contro di essi?

Per camminare, la Restorative Justice avrebbe bisogno di gambe solide: formazione, informazione, denaro. Ma soprattutto avrebbe bisogno di prevenzione, cioè di educazione al rispetto, all’ascolto, al dialogo. Avrebbe bisogno di equità sociale nel piccolo come nel grande.

Noi non stiamo affatto andando in questa direzione.

Cover credits: https://www.soldiersforthecause.org/2012/01/19/the-profits-of-war/

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