Cicuta o no, io sto con Murakami

Col passare degli anni mi è sempre più chiara una cosa: il pianeta sul quale cerchiamo di inventarci una vita, quando abbiamo abbastanza creatività e salute e fortuna per farlo, è lo stesso per tutti, i mondi invece no, i mondi sono diversi. Ecco perché la letteratura con la “L” maiuscola che ci propinano scuole e critici – in testa mettiamoci pure il “grande” Harold Bloom – non vale, non può valere.

Deutsch als Fremdsprache – Intensivkurs

Prendiamo Linh, vietnamita del Vietnam del Nord, mio compagno di corso qui in Baviera.

Seduti a pochi banchi di distanza, entrambi alle prese con la grammatica tedesca, noi due siamo il perfetto esempio di come “il mondo” non sia affatto quel mosaico di suggestioni che le letterature dei nostri rispettivi Paesi vorrebbero darci a intendere. Perlomeno: non soltanto.

In ogni gesto di Linh, nel suo modo di parlare, o più spesso di non parlare, intuisco (e mi incuriosisce) l’esistenza di tutt’altro modo, dal mio, di pensare, vivere e prefigurarsi il futuro.

Non ho approfondito se Linh sia interessato alla letteratura. Così come non so se lo siano Śrī o Madura, indiane di dove non ho idea, che ogni mattina mi siedono di fronte. O Nevena, approdata alla mia destra dalla Serbia. O Karen, armeno vissuto a lungo a Cipro, che fin dal primo giorno tiene la posizione vicino alla porta…

… Non so davvero se queste persone siano mai state interessate alla letteratura dei loro Paesi d’origine ed eventualmente a quella dei colonizzatori dei continenti che si sono lasciati alle spalle, ma a prescindere da questo, di una cosa sono certa, certissima: anche solo la concezione del tempo nelle nostre differenti culture ha prodotto e continua a produrre sistemi narrativi profondamente diversi. Se riusciamo poi a immaginare il tempo come un brodo di coltura per le inclinazioni individuali, il carattere, l’educazione familiare, le condizioni sociali; se teniamo conto dei contesti storici e delle contaminazioni culturali, cioè il desiderio di omologazione o, viceversa, la caparbia ostinazione a preservare la propria cultura, avremo variabili di scrittori e lettori pressoché infinite. Variabili che con una parola ormai trita potremmo dire la “biodiversità” letteraria.

Inciso n. 1

Quando andavo al liceo, certi professori avevano la faccia tosta di dirci che saremmo stati la classe dirigente del futuro.

Il mio, intendiamoci, era un liceo classista. Con un programma di studi classista e ottuso, irreggimentato. Dove il Sommo era solo Dante, e i Sommi Giapponesi, per dire, non esistevano punto.

Philippe Vandenberg, La doctrine II, 1999 – 2001.

Harold Bloom e Murakami

Che cosa se ne fa, dell’empireo di geni classificato con tanta erudizione e acume da Harold Bloom, uno come Linh? Che me ne faccio io, mi chiedo?

Dopo la prima, indiscutibile fascinazione data dalla lettura di un libro come Il genio. Il senso dell’eccellenza attraverso le vite di cento individui non comuni, la prima cosa che mi viene in mente è un passaggio di Ascolta la canzone del vento di Haruki Murakami.

Dice così:

Se volete un’opera letteraria o artistica, fareste meglio a leggere quelle scritte dagli antichi greci. Perché sono necessari degli schiavi per produrre vera arte. […] Persone che alle tre del mattino rovistano nel frigo stipato di robe, possono scrivere solo futilità.

[in Vento e Flipper, Torino, 2016, Einaudi, Trad. a cura di Antonietta Pastore.]

Il che, questa citazione voglio dire, non significa inneggiare alla mediocrità, sia chiaro. Solo che questa storia del “genio”, di vasariana memoria, mi rammenta tanto il mio vecchio liceo.

Un po’ troppo autoreferenziale. Un po’ troppo classista.

Un po’ fascista, se vogliamo.

E non è un bel ricordo.

Inciso n. 2

Di tutte quelle noiosissime ore passate ad ascoltare piccoli tromboni di provincia, perlopiù professoresse, sproloquiare intorno a quello che sarebbe stato il nostro futuro, quando avremmo ereditato le lucrose attività dei nostri genitori (?), ricordo invece volentieri le lezioni di filosofia di Giandomenico Stella, padre del famoso giornalista del “Corriere”.

Era socratico, Stella. Era uno di quei professori che consigliano libri. Quando entrava in classe si doveva aprire le finestre, bisognava cambiare l’aria. E l’aria effettivamente cambiava. La filosofia con lui era un’incursione in territori affascinanti, nei quali mettevamo piede con meraviglia, persino un pochino spauriti dal fatto che il pensiero potesse essere così tentacolare da comprendere per esempio – e il professor Stella ce ne parlava già allora – i progressi della cibernetica, scienza assolutamente non contemplata dal limitato e limitante programma ministeriale. Che ahimè, mi dicono essere rimasto più o meno lo stesso… nelle scuole di buon livello (!).

Philippe Vandenberg, No title, 1997.

Maieutica 

Il metodo socratico si studia di norma a scuola, in tutti i licei del regno italico e oltrefrontiera, praticamente ab Urbe condita. Eppure a farla da padrone è sempre, da che ho memoria, l’ipse dixit, sono sempre i paradigmi sapienziali. Essere riconosciuti esperti di qualche cosa, si tratti di Baudelaire, musica barocca, confini geo-politici contemporanei o finanza, continua a essere considerato un punto di arrivo (televisivo), l’apice di una carriera (sovente universitaria).

Ma che cosa sono i paradigmi sapienziali se non strutture frutto di idee individuali o di gruppi di potere?

C’è sempre un interesse a costruire un paradigma sapienziale. Se poi i paradigmi diventano l’architrave di una certa cultura classista e fascista…

Bar Sport

Pare che la storia non faccia altro che ripetersi: i paradigmi astratti, talvolta anche raffinati, di certi intellettuali e i paradigmi infimi di quasi tutti i politicanti: i prominent people si sono sempre accomodati o di qua o di là.

I più hanno sempre fatto e sempre faranno, invece, la parte degli ignavi: non pensare oppure pensare secondo convenienza.

Philippe Vandenberg, No title (Le s Chapeaux de Dieu), 2008.

Socrate oggi

Se qualcuno, oggi 11 Aprile 2019, potesse chiedere a Socrate che cosa è Letteratura, che cosa è Arte e cosa no, presumo che l’Ateniese non si atteggerebbe né a professorino né a professorone. Se Platone ce l’ha contata giusta, probabilmente risponderebbe così:

«Leggi. Studia. Lavora. Viaggia. Impara le lingue. Guardati attorno. Sii curioso di tutto».

«Insomma, fatti le tue opinioni. Soprattutto non stancarti mai di porti e porre domande… Specialmente ai governanti, eh, mi raccomando» mi piacerebbe immaginare che aggiungerebbe poi, magari facendo l’occhiolino al suo interlocutore.

Perché Socrate dicono fosse anche un tipo scherzoso, conciliante, che non ha fatto un plissé neanche quando sua moglie Santippe è stata così antipatica da rovesciargli in testa una brocca d’acqua (o forse qualcos’altro, gli studiosi non sono ancora stati in grado di stabilirlo con precisione).

Cicuta?

Questa specie di Bruce Chatwin che sarebbe il Socrate odierno – per me l’anti-intellettuale Chatwin è un’icona – sarebbe condannato di nuovo a bere la cicuta?

Non credo, non qui in Europa. A decretarne la morte (per il grande pubblico), sarebbe sufficiente, infatti, l’oscuramento mediatico.

Bar Sport

E comunque, francamente: quando mai l’originalità di pensiero, e men che meno l’originalità di pensiero applicata alla letteratura e all’arte, è stata di interesse per i media? Per far impennare lo share ci vuol altro.

Cosa?

Fatti salvi sesso, sangue e sport, che tirano sempre, in TV al momento sembrano andare alla grandissima i commissari. Garantiti al limone anche qui in Germania, nella formula – piuttosto furba – dei commissari regionali: a rotazione, ogni domenica, in prima serata, su ARD – Das Erste .

Con buona pace di Harold Bloom.

 

P.S. In copertina: Philippe Vandenberg, No title (Il pleut des bites), 2000.

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